L’Amministrazione comunale di Venosa candida il sito paleolitico di Notarchirico a patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.Un patrimonio dell’UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura) è un luogo specifico, naturale o artificiale, che è scelto per il programma internazionale dei patrimoni dell’umanità amministrato dall’UNESCO. Il programma ha lo scopo di catalogare, indicare e preservare siti di eccezionale importanza, sia naturale che culturale, che possono essere considerati Patrimonio comune dell’umanità.La proposta avanzata dal Sindaco di Venosa, Carmine Miranda Castelgrande, è stata formalmente presentata dalla Prof.ssa Margherita Mussi a Parigi, dove ha sede l’UNESCO, il 9 maggio 2009, su indicazione del Prof. Marcello Piperno, uno dei più autorevoli e importanti studiosi del sito che ha contribuito, negli ultimi 30anni, in maniera incisiva, alla sua conoscenza e valorizzazione.Le prime scoperte di bifacciali ed ossa di elefante antico a Venosa risalgono al 1879, durante dei lavori di scavo per la realizzazione di una strada, presso la località Terra Nera. L’evento costrinse la scienza ufficiale dell’epoca a modificare la propria teoria, la quale affermava che i cacciatori-raccoglitori paleolitici non erano mai giunti nella nostra penisola. A questa interessante scoperta seguirono, agli inizi del ‘900, diversi interventi di scavo ad opera di studiosi, come Quagliati e Rellini. Quest’ultimo, nel 1930, documentò, nella vicina località Loretello, l’esistenza di due distinti livelli preistorici. Studiosi e amatori locali (Monsignor Briscese, Domenico Topa, Gerardo Pinto) cominciarono a raccogliere intere collezioni di manufatti litici e di faune, provenienti dalle varie località del bacino di Venosa: oggi, fortunatamente, tutti questi materiali sono esposti all’interno del Museo Archeologico Nazionale della città oraziana. Dal 1956 al 1962, l’Istituto Italiano di Paleontologia Umana cominciò a scavare nella vicina località Loreto, dove i lavori poi proseguirono nel 1974 in collaborazione con il Museo di Antropologia Preistorica del Principato di Monaco. Finalmente nel 1979 avvenne l’eccezionale scoperta del sito paleolitico di Notarchirico: durante delle ricognizioni effettuate da parte dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana e della Soprintendenza Speciale al Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico. Nel 1985, entrambe le Istituzioni, in collaborazione con la Soprintendenza archeologica della Basilicata, con il Comune di Venosa e con il Dipartimento di Discipline Storiche dell’Università di Napoli “Federico II”, diedero il via agli scavi e alla musealizzazione del sito. Una nuova pagina di storia, o meglio, di preistoria, relativa al nostro continente veniva spiegata e raccontata in una serie stratigrafica, riferibile alle fasi iniziali e medie del Pleistocene medio, tra i 650.000 e i 200.000 anni fa. All’epoca, il territorio venosino era caratterizzato dalla presenza di un vasto bacino lacustre, dominato dal Vulture in intensa attività. Nel sito (un’area di circa 275 mq) è possibile ammirare gli undici livelli di scavo sovrapposti, che documentano l’origine e l’evoluzione dell’Acheuleano in Europa occidentale. Notevoli quantità di strumenti litici (in prevalenza ciottoli su calcare e bifacciali su selce) e resti ossei relativi alle faune più frequenti, che vivevano nella zona di Notarchirico (elefante antico, cervidi, bovidi, seguiti da cinghiali, rinoceronti, lepri e rari resti di avifauna come l’anatra marzaiola), sono inseriti tra fitti lastricati di ciottoli, causati da fenomeni naturali quali il dilavamento delle acque.I depositi di tefra al di sopra del livello F documentano un momento di intensa attività vulcanica. La “Tefra di Notarchirico” rappresenta al momento la sola ricaduta diretta identificata con certezza in un sito acheuleano dell’Italia meridionale e, la sua diversa distribuzione, potrebbe spiegare la variabilità di faune e di clima dei vicini bacini di Loreto e Notarchirico: il primo, più caldo e con ampie zone boschive, mentre il secondo più aperto, con prevalenza di praterie erbose. Al di sotto della paleosuperficie Alfa, è stata individuata la cosiddetta “area dell’elefante”, caratterizzata dalla presenza del cranio, delle zanne e della mandibola di un elefante antico, giacente in posizione capovolta, probabile preda di caccia dell’uomo. L’utilizzo di tutte le parti molli del cranio (cervello, lingua, proboscide, ecc…) è testimoniato dai 41 manufatti litici rinvenuti sopra e attorno ai resti ossei dell’animale. Non è ben chiaro se il cranio sia stato trasportato in quell’area dalle acque o se l’animale sia morto sul posto.Nel 1985, a pochi centimetri sopra il livello Alfa, il prof. Marcello Piperno rinvenne il più antico resto umano dell’Italia meridionale: una diafisi femorale relativa ad una donna vissuta circa 350.000 anni fa. Le caratteristiche morfologiche del reperto coincidono con quelle di Homo erectus, mentre la neoformazione ossea, che si estende a tutta la superficie, fa pensare ad una ferita alla coscia, riportata dalla donna preistorica in seguito ad un episodio violento.All’interno della struttura è esposto un calco in gesso del vicino sito di Loreto, nell’attesa che si realizzi un più ampio progetto di valorizzazione, attraverso la creazione di un unico parco preistorico musealizzato.Al momento Notarchirico resta uno dei siti preistorici più importanti d’Europa per antichità, continuità della serie archeologica e spettacolarità delle evidenze presenti. “La proposta di inserimento tra i patrimoni dell’umanità da preservare e valorizzare, non solo è una delle iniziative di grande spessore culturale dell’attuale Amministrazione comunale e del Prof. Piperno - ha commentato sulla notizia l’assessore al turismo Roberto Preite - ma l’occasione per far conoscere ad un più vasto pubblico una pagina significativa della storia del paleolitico che appartiene all’intera umanità e, evidentemente, la Città di Venosa che arricchirebbe di un’altra gemma la sua collana di tesori”.______________________________________________________________
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