venerdì 21 maggio 2010

LA PENTECOSTE A MELFI

Sabato 22 e domenica 23 maggio 2010 a Melfi.
Un viaggio nella memoria, alla riscoperta delle radici.
La rievocazione storica della Pentecoste di Melfi è tra le più antiche della tradizione del meridione d’Italia, ed è l’unica manifestazione che si celebra in onore dello Spirito Santo. È un evento che si ripropone ogni anno nel giorno della Pentecoste, fin dal 1528, anno in cui vi era un conflitto in armi, tra i francesi di Francesco I d’Angiò e gli spagnoli di Carlo V d’Aragona, per il dominio del Regno di Napoli. L’esercito francese era al comando di Odet de Foix, Visconte di Lautrec, già maresciallo di Francia dal 1511. La fama che lo circondò fu quella di uomo cruento, e non fu smentita dai fatti che accaddero a Melfi tra il 22 e 23 Marzo 1528. Egli si rese protagonista, infatti, del sanguinario assedio della città, e responsabile del massacro di oltre 3000 persone, fatto passato alla storia come “la Pasqua di sangue”. La sorte di Melfi fu decisa nel consiglio di guerra dei francesi, tenuto a Troia, su indicazione e suggerimento di Pietro Navarro, e allo stesso fu affidato l’incarico di tale impresa al comando di 15.000 armati.
I primi attacchi alla città, il 22 di marzo 1528, ebbero esito negativo per le armi francesi che contarono più di un centinaio di morti. Durante la notte arrivarono i rinforzi richiesti, tracui le famigerate Bande Nere guidate da Orazio Baglioni, e diversi pezzi di artiglieria che risultarono determinanti per la presa della città. Dopo l’infame eccidio di armati e di popolani, le truppe francesi costrinsero il principe di Melfi Giovanni III Caracciolo, che si era asserragliato nel Castello con i suoi fedelissimi, ad arrendersi per aver salva la vita. La città, saccheggiata e bruciata, fu abbandonata dai circa 6000 superstiti che si rifugiarono nella selva dello Spirito Santo, sul monte Vulture, e qui vi rimasero fino all’arrivo degli spagnoli liberatori, il chè avvenne il giorno in cui ricadeva la festa della Pentecoste del 1528. Gli spagnoli preso subito contezza della necessità di ripopolare la città di Melfi, ricorsero a speciali incentivi tra cui due editti del Re Carlo V: il primo invitava le popolazioni delle città limitrofe a trasferirsi a Melfi; ed il secondo, proclamando la città “fedelissima”, esentava i suoi abitanti, per la fedeltà dimostrata agli Aragonesi, dal pagamento delle tasse per un periodo lungo 12 anni. Successivamente, il feudo, già sottratto al Principe Caracciolo, schieratosi con i francesi, fu affidato per breve periodo a Filiberto Chalon d’Oranges, indi, il 20 dicembre 1531, fu concesso al- l’ammiraglio Andrea Doria che aveva combattuto in mare consuccesso contro i francesi, insignendolo del titolo di Principe di Melfi.Fin qui la storia scritta, ma la storia tramandata parla di “Ronca Battista”.
In quell’epica giornata di sangue giganteggia la figura di un melfitano, di un certo Giovan Battista Cerone, un boscaiolo che abituato a respirare l’aria della foresta, assediato come tutti gli altri, in attesa dello scontro frontale, respira polvere mista a odori di guerra. La breccia èormai aperta, gli attaccanti affluiscono in massa fra urla, frastuoni e spari facendo scempio dei popolani. Ma di fronte a loro si staglia all’improvviso l’imponente figura del boscaiolo. Unica sua arma, oltre il coraggio, lo strumento del suo mestiere: la ronca (o roncola). Il suo aspetto è nel contempo fiero, minaccioso e terribile, la forza del suo braccio è pari alla forza sterminatrice della folgore. Ovunque muove egli spezza, fende, recide, uccide. Son mucchi di cadaveri mutilati. Il sangue dei francesi si confonde a quello dei melfitani trucidati. Poi l’eroe, sopraffatto dal numero dei francesi cade colpito alle spalle stringendo nel pugno la sua ronca. La figura di questo boscaiolo sfocia negli ambiti della leggenda. Il mito si fa memoria, la memoria si trasfigura in reiterazione orale che scavalca secoli e conflitti, tempo e spazio per divenire evento. Ronca Battista.
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